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di Antonio Vacca

Chiusura grecizzante per la stagione del battipagliese Giuffrè. È andato in scena un Testo di Aristofane, commediografo vissuto fra il V secolo a.C. (quello aureo, di Pericle) e il successivo: “Il Povero Pluto“. Titolo che già stappa la Commedia, è un po’ come dire il Povero Ricco, ossimoro che ha tessuto decenni di drammaturgia, teatrale e non. Già perché Pluto – oltre ad essere per i contemporanei il cane più famoso dei Cartoons – è, nella Grecia classica, il Dio della ricchezza e delle sue ambite sfumature; in sintesi, sovrintende all’opulenza. La quale per tradizione è spesso dispensata fra gli umani in maniera capricciosa e casuale, come fosse distribuita da una dea bendata, pardon, da un Dio cieco.

Tale Pluto è stato reso da Giove, a che eroghi “senza vedere”, ed i terrestri non s’abbandonino a piatta vita da nababbi demotivati. Sta di fatto che Cremilo, cittadino onesto e modesto, ma con Servo al seguito (ogni epoca ha le sue comodità) consultando l’Oracolo – com’usava quell’evo pre-informatico – per sapere se anche la sua discendenza vivrà in ristrettezze, insomma per capire, se sfiga ed indigenza siano, diremmo oggi, genetiche, s’imbatte proprio in Pluto; e qui inizia la trama d’ilarità, equivoci e combinazioni che rimandiamo alle righe della letteratura classica.

La serata al Teatro Giuffré è stata ‘salutata‘ da un folto pubblico, divertito e plaudente, che fa sperare per la prossima Rassegna, dopo l’estate, attesa al più che soddisfacente livello delle precedenti. “Il Povero Pluto” non è stata semplicemente la ‘coda’ stagionale che sa di primavera inoltrata, ma una chicca attesissima. Perché ne era protagonista Vito Cesaro, non solo attore e regista di fama nazionale ed oltre, ma sorta di ‘paterfamilias’ del Giuffré, sua creatura che arricchisce (visto che siamo in tema!) il profilo cittadino, culturale e di costume. Vederlo recitare qui è come, calcisticamente, seguire uno di quegli allenatori/giocatori di moda qualche tempo fa. Ha “fatto”un Carione (il Servitor suddetto) coi toni ammiccanti del ‘meridionale’ sfacciato: la recitazione echeggiava lo humour apulo di Mirabella e Micheli che hanno “adattato” insieme al mitico Aldo Ralli e allo stesso Cesaro.

Che naturalmente ha attinto copiosamente a tutte le ‘nuances’ mimiche e coreiche del Servo insolente e ciarliero di cui è zeppa la successiva Commedia dell’Arte, solleticando lo spettatore con attualizzazioni metastoriche, quasi un mezzo Njegus della Vedova Allegra. Affiancato da Denny Mendez, ancor leggiadrissima (fu Miss Italia un quarto di secolo fa, grosso modo) nel ruolo della Povertà, anzi della sua Dea: sorta di anti-Pluto. Mentre Cremilo è stato Claudio Lardo (altra “anima” del Giuffré), equilibrato e convincente nel fare la ‘spalla’ comica al suo domestico; azzeccato padrone-vittima: anche di una coniuge isterica e ‘insormontabile’ cui Rita Citro ha dato la luce giusta di vanesia sgrammaticata. Non erano da meno il medico Colionóne (Massimo Pagano), poetico chirurgo non proprio degno d’Esculapio e Antonio Magliaro che ha vestito i panni (pochi e laceri) di Pluto.

Apprezzabile la continuità comica, mai fuori dei gangheri, armoniosi Costumi e Regìa. Più che un cenno merita Eduardo Di Lorenzo, non solo per aver arricchito la Scena con la sua ‘parte’ sui generis, quella d’un evirato che risultava a metà strada fra l’eunuco mediorientale ed il ‘femminiello’ mediterraneo, con tanto di “zeppola” fonetica. Ma perché Eduardo è un prodotto del vivaio rionale, abita a due passi dal Teatro e ci dà il senso della favola; che il quartiere S.Anna sia non solo quello, per esempio, carente di spazi verdi e più esposto ai miasmi della scombiccherata ecologia cittadina.

Abbiamo seguito Di Lorenzo dai primi passi amatoriali, culminati nel teatro parrocchiale (San Gregorio VII con le meritorie iniziative; da lì ha già spiccato il volo Antonio Grosso, stoffa di drammaturgo) e ci piace, di Eduardo (nomen… ), oltre alla contagiosa umiltà comunicativa, il suo darsi da fare, tecnico, attrezzista, jolly, uomovunque – si direbbe, ancora, nel calcio – pure di questo giovane teatro Giuffré. Che lenisce i dolori cronici battipagliesi. A proposito di tutte queste Divinità, e se domani, a microfoni spenti, incrociassimo il ‘Dio dei Rifiuti’? Ma questa, avrete intuìto, è un’altra storia…