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L’ordinanza ai danni dell’azienda della famiglia Palmieri riaccende il dibattito sull’area Pip a via Spineta

Dopo un’amnesia lunga quindici anni, «il consiglio comunale dovrebbe rideterminarsi»: parola dell’ex sindaco Alfredo Liguori.

Le norme tecniche d’attuazione della variante di adeguamento ed ampliamento della zona D2, a via Spineta, approvata alla fine del 2004 dal consiglio comunale, non sono mai state applicate. Altrimenti, lungo la strada che conduce al mare, quasi tutte le 17 fabbriche presenti non avrebbero potuto aprire i battenti, visto che l’articolo 7 vieta l’insediamento alle attività insalubri di prima e seconda classe e a quelle capaci di arrecare pregiudizio all’ambiente.

Il punto è che, in quell’elenco, il Testo unico delle leggi sanitarie tiene dentro 340 tipologie di lavorazione, che, oltre al trattamento dei rifiuti, hanno pure la forma di attività apparentemente meno impattanti, come le falegnamerie e le produzioni dei formaggi.

E Palmeco, l’unica fabbrica che è stata sottoposta all’ordinanza di cessazione immediata da quando in Comune è stata rispolverata la norma, potrebbe essere la prima di una lunga serie di aziende a rischio stop.

Il Pip naufragato

«Sono passati tanti anni; non me lo ricordo il motivo per il quale inserimmo una norma tanto restrittiva», spiega Liguori. Nel 2004, quando il parlamentino approvò la variante, il sindaco era lui: «Quella delibera non è andata avanti – ricorda l’ex primo cittadino – tant’è che si prevedeva un’area Pip che non è mai nata, e lo dico con rammarico, perché quella era una grande iniziativa, per la quale avevamo ricevuto già tantissime richieste dalle imprese».

Poi del Piano per gli insediamenti produttivi di via Spineta non s’è fatto più nulla, ma nessuno ha mai revocato gli atti amministrativi che erano stati prodotti, e così le norme tecniche di una variante che non ha avuto seguito oggi sono ancora operative.

Nonostante, finora, l’Ente le abbia ignorate. «Io credo che quella norma vada rivista, visto che il Piano non ha mai avuto seguito», aggiunge l’ex sindaco, che è titubante sull’ordinanza di cessazione: «Il discorso ambientale è sacrosanto, e va fatto, però, mentre parliamo di Palmeco e di AP Ambiente, rischiamo di dimenticare che si sta per realizzare un impianto di compostaggio; poi è difficile intervenire su aziende già esistenti, anche perché i vertici della Palmeco, che io non conosco, hanno comunque sostenuto degli investimenti in virtù delle autorizzazioni che hanno regolarmente ottenuto dagli enti pubblici».

L’auspicio di Liguori è che «il dibattito torni in consiglio comunale, e che la Francese colga la palla al balzo per poter ripartire con l’area Pip, che a mio avviso va realizzata».

L’ex sindaco Alfredo Liguori

La norma sacrosanta

Chi si ricorda bene di quei giorni è Vincenzo Inverso, che all’epoca era il più giovane tra i consiglieri di maggioranza: «Nonostante la tematica spazzatura non fosse all’ordine del giorno, pensammo a quella norma per preservare il territorio da insediamenti altamente inquinanti, anche perché quella è un’area adiacente alla zona agricola, e il conglomerato produttivo rischiava di avere un eccessivo impatto sui campi».

Nutre forti dubbi, tuttavia, sulla cessazione delle attività alla Palmeco: «Se l’impianto rispetta le leggi in materia d’inquinamento, chapeau! L’imprenditore deve far valere i suoi diritti in tutte le sedi, soprattutto dopo essersi insediato ed aver investito dei quattrini».

Nonostante le norme di 15 anni fa, quella fabbrica ha le licenze comunali, provinciali e regionali: «È negli enti che bisogna individuare le responsabilità burocratiche ed amministrative, farle emergere e stigmatizzarle». Di quella norma, però, non ci si pente: «Era sacrosanta».

Vincenzo Inverso