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Adagiato sulla dolce collina cui dà il nome, il “Castelluccio” di Battipaglia ne sigla il profilo come un’icona.

D’altra parte è collocato a presidiare un pezzo di territorio cruciale e per secoli strategico, dove le ultime pendici preappeniniche si abbandonano alla piana, proprio all’imbocco della valle del Tusciano, con lo sguardo doppiamente rivolto alla montagna e al mare, a guardia del presunto tracciato pedecollinare dell’antica via Popilia.

Il castello è orizzonte comune dello sguardo di generazioni di battipagliesi; e d’altra parte fin dal primo documento certo, nel 1080, il “Castellucium de Baptipalla” è associato al toponimo della città, che qui compare per la prima volta. Nel documento esso è devoluto alla Chiesa salernitana; e alla Chiesa ritorna, alla metà del Duecento, dopo aver fatto la sua comparsa, una ventina d’anni prima, nell’inventario federiciano dei castelli. Da allora poche e oscure sono le vicende del sito e dell’edificio: sappiamo che, come i vasti territori che lo circondano, anche il castello fu parte dei feudi dei Doria d’Angri in età moderna, per poi entrare nelle disponibilità dei Pignatelli assai più recentemente. E, cosa assai strana, nessuna immagine, nessun dipinto o pianta ci restano dell’edificio prima della sua radicale trasformazione, negli anni ‘20 del Novecento, per mano dell’architetto Farinelli. Il castello fu trasformato soprattutto nella distribuzione interna e nel prospetto che guarda la pianura e la città, assecondando un gusto di attardato revival neo medievale, che fu così in voga nell’Ottocento, col profilo che con le tre torri digrada, assecondando il declivio collinare con la sua disposizione varia e articolata. La sapiente articolazione cromatica, ottenuta dall’alternanza di tufo e laterizio, la scansione dei cordoli, le merlature continue, gli avanzamenti e le sporgenze, le variate disposizioni altimetriche dei volumi “rompono” piacevolmente le masse; la varietà e il dialogo scenografico col contesto evitano il rischio della monotonia greve.

Alle spalle tracce cospicue delle mura medievali, con una piccola torre, rendono la stratificazione architettonica complessa e intrigante. Per queste ragioni all’edificio è stato apposto il vincolo da parte della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Salerno con apposita “dichiarazione di interesse  culturale”: sono ragioni intrinsecamente artistiche, ma anche simboliche e identitarie, poiché il Castello si identifica col territorio, la città e la sua storia; il suo profilo è diventato patrimonio visivo, affettivo e memoriale di tutti, riconoscibile – con la curva dei suoi colli – da lontano.

Per questo risulta ancora più doloroso e assurdo lo sfregio che gli è stato inferto con gli ultimi lavori di ristrutturazione, con la volgare e pesante manomissione degli interni (in parte straordinariamente addossati alla roccia del colle), con la proliferazione oltraggiosa dei finti torricini, con l’addossamento ai volumi antichi di uno sfacciato falso storico, sospeso tra Disneyland, scenografia neomelodica e ambientazioni distopiche; per questo ancora più incomprensibile e surreale risulta l’autorizzazione che a questi lavori su bene vincolato è stata data dagli uffici istituzionalmente preposti alla tutela del nostro patrimonio culturale. Ma è solo l’ennesima triste storia italiana.