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Il 18 gennaio scorso le chiavi sono state riconsegnate al Comune: il “Caffè 21 marzo” ha chiuso definitivamente i battenti. Tramonta il sogno legalità nel bene confiscato alla criminalità organizzata.

Il Caffè 21 Marzo non riaprirà. La resa definitiva è arrivata sul finire di gennaio, stando a quanto emerge dall’elenco aggiornato dei beni confiscati alla criminalità organizzata pubblicato di recente sul sito dell’Ente. “NO”, è la voce che si legge nella casella “Bene assegnato” in riferimento all’immobile di via Gonzaga, confiscato all’imprenditore Antonio Campione, e restituito alla collettività a luglio del 2015 quando la federazione di associazioni riunita sotto il nome “P’o ben r’o Paes”, che tirava dentro gli attivisti di Libera, “Mariarosa”, “Back to Life”, Legambiente, il carcere di Eboli e la cooperativa sociale di Pozzuoli “Lazzarelle”, alzò per la prima volta la saracinesca del bar Caffè 21 Marzo, alla presenza del fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, che lo definì «Il bar della speranza».

PRIMA LA SPERANZA, POI LA BUROCRAZIA E INFINE LA DELUSIONE

E per tre anni lo è stato. È stata una speranza per gli ex detenuti che avevano trovato un posto di lavoro e una speranza per ricominciare. È stata una speranza per i ragazzi che gestivano il locale, e per le persone in difficoltà economica che lì dentro avevano cominciato a racimolare qualche soldo. È stato così per tre anni, fino a quel maledetto aprile del 2018 quando alla serranda di via Gonzaga bussò la burocrazia per sancirne la chiusura: erano scaduti i tempi dell’affidamento triennale, sancito dalla triade commissariale che a Battipaglia, manco a dirlo, era arrivata dopo uno scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche. A Palazzo di Città, forse per i troppi impegni, non ci fu modo di predisporre per tempo il nuovo bando per l’affido dei locali confiscati alla camorra. L’avviso pubblico, infatti, fu pubblicato un mese e mezzo più tardi. I tempi dell’affidamento cambiarono: da tre a sei anni. E arrivò solamente una richiesta: quella della cooperativa “Freedom”, costituita dagli stessi dipendenti del Caffè 21 Marzo.

Per quattro mesi, poi, il silenzio. Della determina d’assegnazione nemmeno la traccia. Con l’amministrazione comunale guidata dalla sindaca Cecilia Francese che finì nel mirino degli attivisti: la accusarono di scarsa sensibilità verso un tema delicato come quello dei beni confiscati. In città, vedendo la saracinesca calata da quasi 6 mesi, cominciò a diffondersi la voce che il bar fosse fallito. All’improvviso, però, il barlume di speranza: 210 giorni dopo gli uffici comunali si decisero a firmare la determina di aggiudicazione provvisoria. Per l’aggiudica definitiva, però, passò un altro anno. E intanto i ragazzi bisognosi avevano cercato e trovato altri lavori, gli ormai ex dipendenti riuniti sotto l’associazione “Freedom” per forza di cose avevano seguito altre strade. E tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 la stangata finale arrivò dalla pandemia da Covid-19: specialmente per il primo anno, nessuno degli associati avrebbe mai rischiato di riavviare l’attività, dopo quasi due anni di stop, in piena emergenza pandemica. Adesso chissà se arriverà qualche progetto migliore. Nell’attesa, quel che è certo è la riconsegna delle chiavi: il 18 gennaio scorso, l’associazione “Freedom” ha ufficialmente rinunciato alla gestione del bene confiscato. Il Comune dovrà trovare un nuovo assegnatario. E un nuovo progetto. Con la speranza che, almeno per questa volta, l’inerzia e la burocrazia non la facciano da padrone.