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C’è stato un tempo in cui anche da Battipaglia si fuggiva per paura di un’epidemia. Era il 1968. Erano gli anni delle rivoluzioni parigine, della guerra in Vietnam, dello storico discorso di Fidel Castro, e dei grandi cambiamenti che segnarono quell’epoca.

tifo battipagliaIn provincia di Salerno, nella Battipaglia capofila della Piana del Sele, scoppiò improvvisamente il Tifo. A quei tempi era sindaco Sabato Mellone. E un altro ex sindaco, l’avvocato Enrico Giovine, storico appartenente a quella che fu la Democrazia Cristiana, ci racconta che «Il primo ad accorgersene fu Mimì Vicinanza, il quale diede l’allarme. Ma ad andarci sotto fu Pomponio Salvo, ex funzionario del Comune, uno di quei tecnici che lavorava al servizio della collettività».

Il Tifo, conosciuto anche come febbre tifoide, prima dell’arrivo degli antibiotici e dei vaccini, aveva un tasso di mortalità del 10%. Tant’è che nella vicina Eboli, nel 1949, ci furono centinaia di morti a causa di questa malattia. Fortuna volle che quando scoppiò a Battipaglia le cure erano già disponibili. Nonostante ciò lo spavento fu forte. Ma come si diffuse la malattia?

«La rete fognaria fu costruita male – spiega Enrico Giovine – perché l’acquedotto era stato posto sopra. E, nel caso di rottura dei tubi, come appunto avvenne, le acque si sarebbero inquinate. Fu un errore attribuito a Pomponio Salvo, rinviato anche a giudizio per questa vicenda. Ma in verità la colpa fu di chi costruì negli anni precedenti quella rete».

La situazione fu fronteggiata tempestivamente, ma per un paio di settimane in città c’era la stessa paura che oggi milioni e milioni di cittadini stanno vivendo nei vari angoli del mondo. Nel giro di due settimane ci furono quasi 2.000 contagiati su 26.000 abitanti. Anche se i dati ufficiali parlano di circa 700 contagi, molti decisero di non denunciarlo alle autorità. Ecco perché, in seguito, si scoprirono molti più contagiati.

Le scuole erano deserte, per le strade si bruciavano i rifiuti e la gente non usciva di casa per paura di contrarre la malattia. Le donne che trasportavano l’acqua nelle proprie case, la fila per vaccinarsi, i medicinali che le autorità sanitarie e l’esercito distribuivano, sono solo alcune istantanee di quei momenti così delicati, quando nelle case anche bere era un lusso. tifo battipagliaSì, perché in quelle due settimane l’acqua divenne un bene prezioso. La gente aveva paura di bere e mangiare qualsiasi cibo che provenisse da Battipaglia. Un gran numero di cittadini si diede alla fuga verso Salerno. Per le strade c’era puzza. Ma all’epoca non erano i siti di smaltimento a produrla, bensì i liquami d’immondizia che invasero le vie. Battipaglia ne uscì dopo tre settimane difficilissime senza morti (anche se fonti non ufficiali dicono che qualche vittima ci fu). Oggi, allo stesso modo, speriamo di superare tutt’insieme questa epidemia che non riguarda solo Battipaglia, ma il mondo intero.