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La moda sostenibile esiste. In questo articolo, a cura di Emilio Del Vecchio, per la rubrica “Ecosostenibilità”, cerchiamo di capire quali siano i modelli alternativi per l’industria della moda che necessiterebbe, come tanti altri settori, di una produzione sostenibile.

L’industria della moda è sempre stata accusata di essere tra le maggiori cause dell’inquinamento ambientale. Le produzioni sconsiderate che impattano gravemente sull’ambiente, l’utilizzo scelerato di animali per pelletteria e pellicce nonché le condizioni poco eque dei lavoratori coinvolti nel settore, sono alcuni degli addebiti accertati da dati ineccepibili e confermati da fatti storici di cronaca che hanno smosso sempre di più le coscienze.

Il crollo del Rana Plaza di Savar in Bangladesh è uno di quei tragici eventi che ha posto la riflessione e la discussione sull’etica nella produzione tessile. L’edificio conteneva alcune fabbriche di abbigliamento, una banca, appartamenti, e numerosi altri negozi. Segnalato il rischio di inagibilità tutti i locali chiusero tranne le fabbriche tessili che ignorarono l’avvertimento e consentirono ai lavoratori di ritornare anche il giorno successivo. Giorno in cui l’edificio ha ceduto. Era il 24 Aprile 2013, morirono 1129 lavoratori e circa 2500 feriti. È considerato il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nella storia.

Alle radici della moda etica e sostenibile, che prepotentemente cerca affermazione già dalle ultime due fashion week milanesi, c’è proprio il forte bisogno di rivendicare giustizia salariale tra i più poveri, il diritto alla sicurezza sul lavoro oltre al grande impegno per ridurre l’impatto ambientale del settore. Un’altra sensibilità che converge nel mondo della moda etica è il rispetto verso gli animali cioè muoversi verso una moda che sia “Cruelty Free” a dispetto dunque di pellicce, lana, cuoio, seta, imbottitura di piume o borse di coccodrillo.

Il tentativo di fare a meno di elementi che derivano dallo sfruttamento animale protende per l’uso e la ricerca di materiali sostitutivi che si stanno facendo strada nell’ambito della moda sostenibile, questi materiali innovativi sfruttano tecnologie alternative per ridurre anche l’impatto ambientale delle produzioni tessili, come le ingenti quantità di acqua e le emissioni di co2. Tra gli obiettivi c’è anche quello di rendere questi prodotti fruibili alla gran parte delle persone e non lasciare che siano di nicchia. Tutte queste attenzioni, nonché consapevoli scelte sono rivendicate a gran voce da un movimento fondato nel 2013 a Londra da Orsola de Castro e Carry Somers  “Fashion Revolution”.

Il movimento si costituì dopo il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, “Noi siamo Fashion Revolution. Siamo designer, produttori, artigiani, lavoratori e consumatori. Siamo accademici, scrittori, business leader, brand, commercianti, sindacati e politici. Siamo l’industria e il pubblico. Siamo cittadini del mondo. Siamo un movimento e una comunità. Siamo te. Amiamo la moda, ma non vogliamo che i nostri vestiti sfruttino le persone o distruggano il pianeta. Chiediamo un cambiamento radicale e rivoluzionario. Questo è il nostro sogno…” inizia così il manifesto del movimento.

Seguendo questi principi che puntano alla difesa dell’ambiente e delle persone riducendo l’impatto negativo della moda, molte menti giovani hanno escogitato e studiato delle alternative innovative e positive per il pianeta in ambito tessile. Oltre al Cotone Organico,  proveniente da colture che non utilizzano pesticidi o fertilizzanti chimici e che razionalizzano l’utilizzo idrico, già da anni in commercio, di seguito ne vediamo altre davvero molto curiose.

BETTER COTTON INITIATIVE o BCI

È la campagna sul cotone organico che fa rete. Molti brand hanno aderito al programma sostenibile che riesce a coinvolgere circa 5milioni di coltivatori nel mondo trasformando il 30% della produzione globale di cotone in BCI Cotton certificata. (La rivoluzione comincia dal tuo armadio- l. Ciuni M. Spadafora)

ORANGE FIBER

L’industria alimentare produce ingenti quantità di scarti che alcuni giovani creativi hanno trovato il modo di trasformare in filati e tessuti pregiati.

Dall’idea di due donne siciliane Adriana Santanocito ed Enrica Arena che hanno trovato il modo di realizzare un polimero dagli scarti derivanti dalla produzione di succo d’arancia industriale che viene poi trasformato in un tessuto dall’aspetto serico e fluido. Il primo a sposare l’idea fu Ferragamo. Altri hanno sfruttato l’idea di ricavare dagli scarti alimentari, fibre alternative come ad esempio quella di origine spagnola denominata Pinatex ,che dall’ananas ha ricavato un materiale simile alla pelle. Oggi marchi come Hugo Boss realizzano calzature con tessuto Pinatex.

PELLEMELA

In Alto Adige una delle principali colture è quella delle mele, Hannes Parth un giovane bolzanino si impegna a trovare un modo per riutilizzarne gli scarti, e dopo vari studi crea Pellemela (50% scarto di mele, 50% poliuretano) con questo materiale, resistente e morbido allo stesso tempo, si possono realizzare scarpe, borse ma anche divani e oggetti d’arredamento.

Scoprire queste realtà, oltre esser stimolante, deve renderci consapevoli che abbiamo la responsabilità di invertire la rotta, di pretendere la trasparenza di ciò che acquistiamo, di impegnarci per trovare innovazioni e soluzioni alternative che ci permettono di continuare a farci amare la moda e lo stile senza depauperare le risorse del pianeta. Pretendere chiarezza della filiera e fare delle scelte di acquisto adeguate consentirà di investire in questo senso e rendere fruibili a più persone questo tipo di materiali abbattendone i costi, spesso proibitivi. Siamo noi a decidere!

L’augurio e la speranza è che nascano e crescano start-up locali di giovani con idee innovative e valorizzative delle tante risorse del nostro territorio, attingere da esso per preservarlo, regalando qualcosa di geniale a  tutta la comunità.