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La vertenza dello stabilimento “Maccaferri” di Bellizzi finisce sui tavoli del Governo nazionale. Il ministro Stefano Patuanelli (M5S), lo scorso 9 ottobre, ha manifestato l’intenzione di convocare un tavolo ministeriale per discutere del futuro dei 36 operai della fabbrica leader dal 1952 nella produzione di manufatti contro il dissesto idrogeologico. Arrivano le prime risposte dopo l’interrogazione presentata dalla deputata salernitana Anna Bilotti e il tavolo regionale chiesto dal consigliere regionale Michele Cammarano.

Anna Bilotti
Anna Bilotti, deputata Movimento Cinque Stelle

«Ho ritenuto di coinvolgere il Mise perché in questa storia ci sono troppi elementi poco chiari – spiega la parlamentare del Movimento 5 Stelle – Il suolo dove si trova lo stabilimento è stato venduto, la holding a cui fa riferimento è sottoposta a procedura fallimentare e non si sa quale sia il piano industriale del fondo d’investimento Carlyle, che sarebbe disponibile a un’operazione di salvataggio ma non ha spiegato cosa intende fare di fabbriche e lavoratori. Anche nell’audizione in Regione, convocata grazie al consigliere Michele Cammarano, i vertici aziendali non hanno fornito alcuna rassicurazione».

Anna Bilotti
Anna Bilotti, deputata Movimento Cinque Stelle

Dal ministro è arrivata la totale apertura a raccogliere una richiesta di intervento da parte dei lavoratori: «Si esprime sin da subito – è scritto nella risposta all’interrogazione parlamentare – la disponibilità e l’impegno del Ministero dello sviluppo economico a monitorare lo sviluppo della vicenda, con eventuale possibilità di intervento attraverso la convocazione di un apposito tavolo di confronto, volto a garantire che venga preservata la continuità produttiva del sito di Bellizzi ed il mantenimento dei livelli occupazionali».

Un grido di protesta, quello degli operai dell’azienda “Maccaferri”, che arrivò fino a Bologna durante il corteo al fianco dei “colleghi” di tutt’Italia, lo scorso 31 luglio, nella piazza emiliana per esprime il timore che il vero obiettivo dell’azienda, vista e considerata la cessione dei terreni, sai di delocalizzare la produzione chiudendo le sedi italiane e trasferendosi all’estero. In ballo c’è il futuro di 70 famiglie che, da quattro mesi, sono appesi alle decisioni dei vertici.