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Come stanno affrontando l’emergenza Coronavirus nell’ospedale di Eboli? Abbiamo raggiunto telefonicamente la dott.ssa Grazia Russo, primario del reparto di malattie infettive al nosocomio ebolitano.

Tra le città maggiormente in apprensione per l’emergenza Coronavirus nella Piana del Sele c’è sicuramente Eboli. Lo scorso 6 marzo il primo caso all’ospedale di Campolongo, oggi la città ne conta quattro ma la paura è che nei prossimi 10 giorni il contagio possa diffondersi maggiormente. La responsabile del reparto malattie infettive, Grazia Russo, ha risposto ad alcune domande cercando di spiegare la situazione attuale e gli scenari futuri.

L’INTERVISTA

-Qualora ci trovassimo di fronte a una situazione di contagi più ampia, l’ospedale di Eboli sarebbe pronto? Avrebbe personale a sufficienza e strutture adeguate per gestire la situazione?

Al momento abbiamo ancora un numero limitato di pazienti, la situazione attualmente sembra gestibile. Ma siamo pronti a scenari più difficili: stiamo preparando un piano per un numero più elevato cercando aree dove collocare gli ammalati, cercando di ristrutturare anche il reparto.

Il virus, nella nostra regione, e nella nostra provincia, non ha ancora attecchito in maniera significativa. C’è da aspettarsi un aumento considerevole dei casi, o le precauzioni prese del governo potrebbero effettivamente contenere la diffusione?

Purtroppo l’aumento dei casi ci sarà. La previsione degli epidemiologi è questa: il picco deve ancora arrivare. Noi ci auguriamo che queste previsioni vengano smentite, ma pensiamo che nei prossimi sette/dieci giorni il numero dei contagiati aumenterà notevolmente nonostante le misure di contenimento messe in piedi dal Governo.

Come consiglia di affrontare questa emergenza?

Questa è una domanda dalle 100 pistole. Ovviamente il consiglio di base rimane uno solo: rimanere a casa il più possibile. Io ho iniziato la mia preparazione a inizio ottobre, e psicologicamente mi ha aiutato. Ho incominciato a pensare all’epidemia quando c’erano casi solo in Cina. Mi aspettavo che arrivasse in Europa, mi snobbavano, credevano fosse una normale influenza e, purtroppo per noi, sono stato un buon profeta. Questa è una pandemia senza precedenti per la nostra generazione, ma quella dei medici è una scelta di vita e noi assicuriamo il massimo sostegno alla causa.

-Come state vivendo questi giorni all’interno dell’ospedale? C’è preoccupazione, o addirittura paura, tra i colleghi, in virtù del fatto che voi operatori sanitari siete maggiormente esposti al rischio di contagio

Ho saputo che c’è un forte impegno per procurare i dispositivi di sicurezza adatti che, allo stato attuale, non ci sono. Quando l’ammalato arriva non è ben protetto e la diffusione del virus tra il personale ospedaliero è probabile. E questa sarebbe la vera tragedia perché verrebbero a mancare i soggetti. Tra noi colleghi stiamo facendo squadra. Ci scambiamo esperienze, con i colleghi di pneumologia ci stiamo integrando, sia con i turni di guardia che con scambi culturali. E soprattutto ci confrontiamo tanto: esperienze di terapia, di ossigenoterapia, o di rianimazione perché questo virus può portare compromissioni cardiache, renali, ed è importante avere più specialità.