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Non si chiamavano ancora così, ma quando nel 1851 un disastroso terremoto colpì l’area del Vulture, una new town sorse nel cuore della Piana del Sele.

Nel sisma furono distrutti i comuni di Melfi, Rapolla, Barile, Rionero e Venosa, con circa un migliaio di vittime. Nei mesi successivi, il Re Ferdinando II, per alleggerire il peso della ricostruzione in quel territorio, emise un regio decreto, trasferendo alcune decine di famiglie nell’allora agro di Eboli e creando, di fatto, quella che in gergo oggi chiameremmo new town. Quel primo insediamento, nei fatti, diede vita al primo nucleo abitativo attorno al quale si sviluppò, nei decenni a seguire, l’attuale Battipaglia.

Fino ad allora, l’attuale territorio, diviso tra le municipalità di Eboli e Montecorvino, era affastellato da poderi e masserie, qui e lì da qualche chiesa di campagna. Le cosiddette Comprese, che oggi a fatica sopravvivono alle spalle di Piazza della Repubblica, sono per questo considerate il centro storico della città, sebbene di quella storicità non resta orami che qualche sbiadita traccia.

L’ISTITUZIONE DEL COMUNE

L’elevazione a Comune di quel concentrato di abitazioni, fatto di case basse e corti condivise, unite alle masserie e ai casali sparpagliati nella piana, avvenne solo 70 anni dopo, grazie all’intensa opera di Alfonso Menna.
Da allora, la città ha sempre avuto un grande propensione al rinnovamento. La rinascita dopo i bombardamenti, l’espansione demografica e lo sviluppo dei primi anni ’60, il boom edilizio (con i suoi danni) della fine degli anni ’70 fino, l’industrializzazione degli ’80, fino al rilancio dell’agricoltura nell’ultimo decennio. Una città che ha conosciuto grandi crisi e grandi rinascite, in un’altalena continua tra sviluppo e depressione. Una città abituata a cambiare pelle, capace di rinnovarsi e rimboccarsi le maniche, ma anche fragile e a volte immatura: una giovane ragazza di 90 anni, la cui storia è ancora tutta da scrivere.