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L’intervento dell’ing. Alfredo Vicinanza al convegno “Si può essere sani in una terra malata?”

Vicinanza è anche tra gli esponenti del comitato Battipaglia dice No

Si è tenuto lo scorso 26 ottobre, presso il salotto comunale, il convegno “Si può essere sani in una terra malata?“. Al tavolo, insieme al dottor Antonio Marfella, Oncologo, Dirigente Direzione Sanitaria IRCCS Fondazione Pascale, e Presidente ISDE Napoli, anche l’ingegnere Alfredo Vicinanza, che ha decidere di condividere con Battipaglia News il suo intervento.

Avrei dovuto iniziare con i ringraziamenti, poi continuare con una analisi delle problematiche ambientali della città, l’elenco degli incendi, degli impianti, dei dati sull’inquinamento, delle proteste e delle promesse. Volevo farlo, davvero. Credevo che i motivi da ricercare per capire se la mia terra è malata fossero nascosti in quei numeri.

Ma pensando a quante volte ce li siamo detti, ricordati, smentiti, ho pensato che la matematica, più che diventare una opinione è diventata un alibi. Non che quei numeri non siano importanti. Ma forse sono stati usati a volte per nascondere altri indizi del nostro malessere, spesso per prendere o perdere tempo.

E allora ho pensato che la mia terra è malata. Non perché scoppiano gli incendi, che durano giorni, forse settimane, ma perché dopo spenti non si sa chi, perché, come; e perché così come noi abbiamo ereditato le discariche, così lasceremo in eredità terreni da bonificare. E poi altri incendi, altri anni, altre promesse. Non perché le analisi ci danno uno zero virgola in più o in meno, ma perché chi grida al fuoco è trattato come chi lo appicca. Non perché ogni anno a Ottobre arriva l’autunno, ma alle volte no e fa caldo; arriva il cambio di orario, ma forse per l’ultima volta; ma perché arriva anche il fiume colorato di nero, quello sempre, e noi ci meravigliamo come un egiziano davanti le piaga del Nilo colorato di rosso, con l’unica differenza che la sfumatura l’ha decisa l’uomo. Non perché ogni anno a Giugno arriva l’estate e il mare diventa un problema per tre mesi, ma perché non lo curiamo per tutti e dodici. Non perché siamo un paese accogliente, ma perché il dire sempre si, ci è costato caro. Si alle discariche, ai siti di stoccaggio, no all’inceneritore ma si al CDR, si ai 20, 30 o non si sa quanti impianti per non si sa quanti rifiuti. Perché i si ci sono stati estorti con false promesse, che in altri luoghi chiamano truffe.

Il si al CDR con le promesse di nuove strade, bonifiche, soldi per ripagare dei disagi e che non sarebbero arrivati impianti di compostaggio. E poi l’impianto arriva, vicino a uno che c’è già, li nella terra vicina, e la terra dice “No, mantieni almeno una promessa”. E allora le ripromettono che lo faranno più piccolo…e poi che ne faranno uno solo tra tutti e due… e poi le che ne faranno uno solo per lei…e poi negano tutto e l’impianto si farà…e poi i tavoli tecnici che non si riuniscono, i gruppi di studio che nemmeno si formano…e poi l’unica promessa mantenuta: quella di fare altre promesse.

Non perché abbiamo detto tanti si, che pure ci hanno fatto male, ma perché per un solo no ci hanno detto che eravamo ignoranti, in mala fede, brutti, sporchi e cattivi. Non perché non facciamo una buona raccolta differenziata dei rifiuti (tutto migliorabile, certo), ma perché anche se la facessimo al 100%, ancora non sapremmo dove metterli, come guadagnarci davvero e soprattutto perché sono sempre i cittadini a essere criticati, male identificati come primo anello di una catena che ormai li tiene bloccati in una economia ancora non circolare, ma fatta di interessi e malaffare. Non perché siamo stati privati della libertà di respirare, ma perché, lamentandoci, siamo stati attaccati, ancora più offesi nella dignità, prima ancora che nell’olfatto, da chi nega, poi ritratta, poi di nuovo si difende, poi ammette parzialmente, dimenticando che se un cittadino si lamenta poi magari non succede nulla, ma se un politico sbaglia le conseguenze restano per tanti e per tanto tempo.

Non perché “In Italia non possiamo fare la rivoluzione perché ci conosciamo tutti” come diceva Longanesi o forse Flaiano (perché siamo anche il Paese dove è difficile attribuire una citazione), ma perché il conoscersi che era la nostra forza, è diventata la nostra debolezza. Poteva essere lo strumento per continuare a costruire, da comunità, e invece è stata l’arma per iniziare a distruggere, da egoisti. Città moderna, tra le più sviluppate del dopoguerra, eppure città medioevale, chiusa tra autostrada, fiume e ferrovia, cui accedere da ponti e sottopassi, che stringono il cuore e la mente prima del traffico. Costruita non più da un sogno collettivo, ma dai favori concessi a pochi, che ha sostituito al principio del dono, la logica del condono.

Non perché non ci siano stati veri imprenditori, pionieri che hanno lavorato e amato davvero il loro paese, ma perché quegli imprenditori sono stati sostituiti in molti casi da prenditori, da una economia quella si veramente malata. Perché dopo le proteste e due morti, quel lavoro che avevamo perso e si pensava potesse tornare ad essere sano, lo abbiamo perso ancora, non più tutto insieme, ma un po’ per volta.

Perché i prenditori si nascondono tra noi, sono come noi, spesso siamo noi: quando gli stringiamo la mano, li salutiamo per strada, gli chiediamo il lavoro. E poi si riprendono tutto, anche comprandosi la terra che hanno avvelenato con le loro mani.

La mia terra è malata, ma ho capito di cosa. Si è ammalata dell’unico male che genera tutte le malattie. La mia terra è malata perché non è amata. O almeno non lo è abbastanza. E se è vero che il nemico dell’amore non è l’odio ma l’egoismo, la nostra cura forse è questa: ritrovarsi come comunità.

Ecco, in questo ho visto il senso di ringraziare ora Cittade, Civicamente, Non sei sola, ISDE Medici per l’Ambiente, Le Marianne, Legambiente e il Comitato Battipaglia dice NO, perché al di la del motivo che ci ha condotti qui oggi, l’importante, con tutta la fatica e gli errori, è averlo fatto insieme.

Almeno in questo, essere sani in una terra malata dipende da noi.

L’invito è a tutte le associazioni, i movimenti, i cittadini di questa città, perché si cominci a parlare dei problemi non come abitanti, ma come comunità, a ricostruire una storia frammentata, ritrovare le ragioni del vivere insieme, che poi è l’unico modo per costruire un futuro.