L’esplosione lentissima di un seme

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In fondo, vivo in un quartiere interessante. Forse tra i pochi in cui l’impronta storica ancora prevale sulle nuove costruzioni che nel tempo hanno deformato i quartieri un po’ ovunque a Battipaglia. Nel quadrilatero disegnato da via Conforti, via Indipendenza, Via Cavour e via Buozzi – perimetro tutto mio, arbitrario – gli anni Cinquanta riverberano nei Parchi dei Ferrovieri, nei fabbricati dell’INA Casa, nelle sparse palazzine alzate da muratori che iniziavano a immaginarsi costruttori, nelle villette “americane” che costeggiano il quartiere sul lato est, enclave urbana venata da stradine e vicoli dalla toponomastica risorgimentale in cui un tempo trovarono casa anche malviventi e prostitute. Su via Carbone, il barbiere anni Ottanta e la parrucchiera che sembra preparare una puntata di Pomeriggio Cinque, il fruttivendolo che regala carote al mio cane e la lavandaia che accoglie dai corrieri i pacchi a me destinati, il mini market e il mini centro estetico, fino al Centro di Salute Mentale dell’ASL, che non si sa mai. Come pure la trattoria ‘O vicolo ‘e l’Alleria e la Fumetteria Comix 21, Elementi Creativi e Tuttiservizi, presenze vivaci che conferiscono al quartiere un sfumatura artistica. Dieci metri e si è a via Mazzini, venti in piazza Amendola, ma è già un altro mondo.

In mezzo a tutto, fulcro già dal nome, piazza Risorgimento. Usassi la rullina, son certo che ne sarebbe proprio il centro geografico. Lì, è come penetrare nel cuore del quartiere, con case che danno sulla piazza, tra vecchi pini, file variopinte di vasi e piante, panni stesi e nicchie di santi, quieto riquadro che sembra attendere sempre l’inizio di una festa. È la sensazione che vivo ogni volta ad attraversarla, a starci, influenzata certo dal ricordo dell’anziano che mi disse “qui un tempo cacciavamo i tavoli e facevamo lunghe spaghettate con tutti”. Ecco, sembra che da un momento all’altro donne e uomini indaffarati, anziani frementi, bambini chiassosi, debbano sciamare dagli usci con sedie tavoli e vettovaglie.

Non succede e forse non succederà più. Intanto, siedo a volte sulla mia panchina preferita e lancio la rete di sguardi intorno, che inevitabile s’impiglia nei dipinti lasciati sui muri dal Teatro dei Ragazzi, fondali che sembrano attendere qualcuno dello staff che passi a prenderli, dopo trent’anni. Tra essi, quasi s’impone “L’albero del Domani” di Umberto Vota, presenza che vuole attenzione, aperta la coda da pavone delle fronde cariche di vegetali. Ho sempre trovato ipnotico quel murale. Belli anche gli altri due, certo, ma quello è speciale. Forse perché è un riassunto delle puntate precedenti di questa terra, forse è la fantasia di un solo albero improbabile a dare tutti i frutti, un po’ Albero della Cuccagna e un po’ Albero dell’Eden.

Lì, capita a volte di sorridere al pensiero che Carmine Battipede avesse capito tutto, per quanto molti non avessero capito niente di lui. Per me, Battipede è come Baggio: ha giocato in grandi squadre, ha ottenuto risultati prestigiosi, ma la meraviglia mostrata nella Fiorentina è imparagonabile. Carmine ha avuto luoghi e ruoli più importanti, ma la perfezione compiuta con il Teatro dei Ragazzi in piazza Risorgimento è altra cosa. Eppure, non di rado mi prende un sentimento inquieto, come di fronte all’ambiguo spettacolo di una nave arenata. In quella piazza, tra quei murali, si è arenata una certa idea di società, di Battipaglia, d’Italia.

Dobbiamo ammettere che le cose non sono andate come speravamo allora. Seconda metà degli anni Ottanta, bisognava vederla. Un guado. Sgoccioli di sangue brigatista e giacche con le spalline, bombe sui treni e Canale 5, De André e Madonna. Si sentiva che l’Italia stava cambiando pelle, oggi possiamo tranquillamente affermare che stava cambiando natura. La farfalla della quinta potenza industriale nutriva la crisalide che viviamo. E seppure crescesse l’onda di quel riflusso nel privato individuato dai sociologi, c’era l’dea di poter salvare l’impegno civile e sociale, posate al fondo le scorie dell’ideologia e i lustrini della tv commerciale.

Battipaglia era pezzo dell’Italia, con del cemento in più. Ancora paese, forse, ma ricco di attività industriali e commerciali e sportive, piazza Madonnina bastava ad accogliere tutta la gioventù, che non aveva ancora lo smartphone ma nemmeno i pub, felice di mostrarsi come su un red carpet intorno alla vasca centrale, centro di un mondo che finiva al Ragioneria, oltre, campi e masserie. L’ospedale e il cimitero, poli fisici ed esistenziali, estrema periferia.

Dentro il lamento perenne della noia paesana, fermentavano giovani ed idee, come Carmine, che avevano un’ambizione che nessuna coltiva più, in tempi di “professoroni” e tutorial su YouTube: la pedagogia. Quella vera, che aiuta il debole ad essere consapevole di sé e ad avere strumenti, per non soccombere al forte di censo e di istruzione. La pedagogia attraverso l’incontro con l’arte, con la meraviglia, con lo straniero, messa in atto con una urgenza d’animo e una febbre operosa forse proprio perché alcuni uomini guardavano lontano, vedevano il disastro umano e sociale che avrebbe lasciato l’onda gonfia di individualismo edonista che stava per abbattersi – e così, preparavano i ragazzi mettendo loro i braccioli della curiosità per la cultura e per l’altro. Dopo quegli anni ci sono stati a Battipaglia eventi più grandi, ma d’intrattenimento, ed eventi pedagogici, ma più piccoli. Il capolavoro di Carmine era innanzitutto un capolavoro di misure. Popolare ma non plebeo, colto ma non sofisticato, in un quartiere difficile ma senza moralismi.

Come andò a finire lo sappiamo tutti, e chi non lo sa è perché è passato tanto tempo. Su di noi e su quei murali, colonne greche che emergono dal terreno, residui di qualcosa che s’immagina grande e bello. In testa l’idea di restaurarli un giorno chissà, dentro sogni concentrici che arrivavano a riesumare il Teatro dei Ragazzi. Finché i vaghi aneliti si sono incarnati in un progetto strutturato e scientifico di a.DNA Collective e Urban Area, che ha incontrato l’impegno per il territorio di Terra Orti. Per il ventennale della propria nascita, l’organizzazione di produttori agricoli ha voluto ribadire e dare forza alla profezia di Vota, che non ha dipinto un semplice albero fantasioso, ma l’albero del Domani, ricco di vegetali dentro a un paesaggio incontaminato, da sempre mission di Terra Orti, la quale ha così regalato alla Piana del Sele un’operazione culturale all’avanguardia, perché il recupero dei murali sta avendo sempre più rilievo, al punto di fare del Progetto SPES un’iniziativa di calibro nazionale. Verrebbe da dire: il tutto solo grazie a Terra Orti, e ovviamente di quanti si sono impegnati e s’impegnano al buon fine. Ma la gioia è tale che passa in secondo piano ogni amarezza e ogni voglia di polemica.

Anzi sarebbe bello che Battipaglia vivesse questi giorni come un periodo di festa, una tregua alle polemiche, alle lotte, ai problemi, al bruttume. Che tutti venissero sotto al murale a ricordare quegli uomini in gamba, ma anche a celebrare una città che ha nelle sue corde la bellezza, se solo ne fosse consapevole. Ricordo sulla locandina di un’edizione del Teatro dei Ragazzi la foto di un gruppetto di ragazzini sotto il murale di Vota. Ritroviamo quei ragazzi e ripetiamola. E immedesimiamoci, facendoci ritrarre oggi sotto lo stesso murale, giovani e diversamente giovani, con le mani alzate come loro, in segno di vittoria. Chissà che, dalle case, donne e uomini, anziani e bambini, escano con tavoli sedie e vettovaglie per ritrovare il gusto di stare insieme, nel tiepido ottobre, e brindare alla vita sempre e comunque, a Carmine, a Umberto, a Battipaglia, alle donne e agli uomini che la reggono ogni giorno, alle donne e agli uomini che l’hanno fatta grande e che la faranno grande in futuro, perché questa città un modo di rialzarsi quando cade lo trova sempre.