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Il 23 maggio si celebra la Giornata Nazionale della Legalità, in memoria della Strage di Capaci in cui perse la vita il magistrato antimafia Giovani Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre degli uomini della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo

Orrore“, “Tra Cosa Nostra e lo Stato è guerra“, “Falcone ammazzato dalla mafia“. Questi alcuni dei titoli che apparivano sui principali quotidiani nazionali all’indomani di una data che sarebbe rimasta incisa nella storia d’Italia per sempre. Il 23 maggio 1992 un durissimo colpo venne sferrato ai danni della lotta alle mafie per un paese legale, sano, giusto. Sono trascorsi ventotto anni da quando Cosa Nostra si sporcò le mani del sangue del magistrato antimafia Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre degli uomini della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo ma nulla è stato dimenticato.

Quella che è stata ribattezzata la “Strage di Capaci“, è stato uno degli attentati più crudi e sconvolgenti della nostra storia. Erano le 17:57 quando l’esplosivo caricato sull’autostrada A29 di Capaci prima le vite di tre degli agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e ferì gravemente Falcone e sua moglie Francesca, che si sarebbero poi spenti in serata in ospedale. Lo sgomento e la rabbia da parte dell’opinione pubblica fu immediato, ed era evidente a tutti come quella data, quegli istanti, sarebbero stati consegnati alla storia per sempre.

Riccardo Christian Falcone: «Uno dei momenti più drammatici della storia del paese»

Una data che ha cambiato per sempre un pezzo di storia italiana, come afferma Riccardo Christian Falcone, giornalista e attivista di Libera: «La Strage di Capaci, con la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, ha segnato senza alcun dubbio uno dei momenti più drammatici nella storia del Paese, aprendo di fatto la stagione delle grandi stragi di mafia che insanguinarono l’Italia negli anni tra il 1992 e il 1994. Fu un vero e proprio spartiacque, che generò contemporaneamente la più drammatica e violenta stagione di scontro tra la mafia e lo Stato e, subito dopo, una tra le più straordinarie e significative esperienze di reazione civile del Paese».

Due tendenze opposte, che hanno contribuito a segnare la storia: «Da un lato il tentativo dei vertici di Cosa Nostra di chiudere definitivamente la partita con lo Stato; dall’altro uomini e donne delle Istituzioni, che non hanno indietreggiato nel compimento del proprio dovere fino all’estremo sacrificio, e migliaia di cittadini che, dalla morte di quegli uomini, hanno saputo trovare il coraggio per opporre una resistenza civile che, pur tra arretramenti e difficoltà, ha dato frutti straordinari».

«Cosa Nostra era stata colpita al cuore dal maxi processo – prosegue l’attivista di Libera -. Un affronto che volle punire inondando con un fiume di sangue le strade della Sicilia prima e del continente poi, con una serie di attentati di chiara matrice terroristica (dopo Capaci, via D’amelio e poi Firenze e Milano), attraverso i quali la Cupola aveva deciso di colpire e screditare lo Stato, fiaccare la società civile, creare allarme e tensione sociale. Ripercorrere la cronologia di quei fatti significa ritornare con la mente ad immagini di guerra e di morte. Fu una violenza inaudita che gettò nel panico un intero Paese, destabilizzando la politica e mettendo a rischio la democrazia».
Di forte impatto, dice Falcone, sono state le parole di Antonino Caponneto, capo e guida del pool antimafia dal 1983, di fronte alla drammaticità delle immagini in via D’amelio, dove a perdere la vita fu il magistrato Paolo Borsellino, appena 57 giorni dopo la bomba di Capaci: «È finito tutto» ma, spiega il giornalista: «Non fu così, anzitutto per lui, che, dopo la disperazione, riprese con ancora maggiore vigore il suo impegno, iniziando un instancabile viaggio tra scuola e piazze di tutta Italia per raccontare, soprattutto ai più giovani, chi erano e cosa avevano fatto Falcone e Borsellino, parlando di etica, di giustizia, di legalità».

Tanti i passi avanti fatti nella lotta alla mafia dalla Strage di Capaci

Straordinari i frutti che ha portato quella primavera, dice Falcone: «La politica, o almeno una parte di essa, non abbassò la testa e reagì. La stessa magistratura, rinvigorita dall’arrivo a Palermo di Giancarlo Caselli, volle farsi carico dell’eredità di Falcone e poi di Borsellino, senza cedere di fronte alla strategia stragista e, negli anni, assicurando alla giustizia i capi di Cosa nostra. La cosiddetta società civile comprese il valore di un impegno quotidiano per sconfiggere la cultura mafiosa, un impegno fatto di percorsi educativi e della lotta per i diritti, la dignità e la giustizia sociale».
Riccardo Christian Falcone

Proprio in quegli anni prese vita Libera: «Una realtà associativa, un percorso collettivo capace di sollecitare la società civile nel contrasto alle mafie e nella promozione della legalità democratica e della giustizia, affiancando e sostenendo l’azione di repressione propria dello Stato e delle Forze dell’Ordine» spiega Falcone, che aggiunge anche come, a distanza di ventotto anni da quella strage, la legislazione antimafia italiana, grazie alle sue norme, si sia imposta come una delle più avanzate al mondo: «Una su tutte, la legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, che ha consentito di attuare una vera e propria rivoluzione, non solo dal punto di vista repressivo e giudiziario, ma anche da quello economico, culturale, sociale, simbolico e politico».

Giovanni Falcone, e tutte le vittime innocenti della mafia, sono diventate degli anni delle figure importantissime per i giovani: «Simboli di una resistenza civile non da venerare come eroi ma da imitare come testimoni, trasformando la memoria delle vittime in un impegno quotidiano. Occorre continuare a tenere alta l’attenzione e la guardia, perché le mafie sono tutt’altro che sconfitte. Occorre continuare a fare della memoria delle vittime innocenti non un esercizio retorico ma una molla per la nostra responsabilità».

Le iniziative di Libera per la Giornata Nazionale della Legalità

Continua sempre, e senza sosta, l’impegno di Libera: «È un lavoro importante, perché il tempo rischia di annacquare la memoria, riducendola a una sterile commemorazione. Oggi siamo tutti con il cuore a Capaci, su quel tratto di autostrada sventrato dal tritolo. Oggi siamo tutti accanto ai familiari delle vittime di quella strage. A loro, prima ancora che a noi stessi, abbiamo il dovere di rinnovare la nostra promessa di impegno, perché i loro cari non siano morti invano».

Nonostante il Covid-19 abbia impedito la realizzazione di alcune iniziative: «Il 21 marzo avremmo dovuto camminare tutti insieme a Palermo per la Giornata della Memoria e dell’Impegno. Avevamo scelto di ritornare in Sicilia proprio perché da lì era partita la nostra storia di impegno. L’emergenza sanitaria ci ha impedito di farlo. Questo non ci ha impedito e non ci impedirà di dimostrare da che parte dobbiamo stare. Perché il primo virus che tutti noi dobbiamo sconfiggere è quello dell’indifferenza e della rassegnazione. Lo dobbiamo a Giovanni, Francesca, Vito, Rocco e Antonio. Lo dobbiamo a noi stessi».

Alle 17:58, come ogni anno, ci sarà il tradizionale momento di raccoglimento, in occasione della Giornata Nazionale della Legalità dedicata alla memoria della Strage di Capaci, ai piedi dell’Albero Falcone, suonato da un trombettista della Polizia di Stato. Niente cortei per strada insieme ai cittadini, nel rispetto delle misure di sicurezza, ma è stato organizzato un flash mob con lenzuola bianche da appendere ai balconi, dove ci si affaccerà tutti insieme alle ore 18:00.